2038 Andrea Grossi Articoli
12 febbraio, 2019

Calano le proteste Nimby ma progetti e investimenti fuggono all'estero

Sembrano essere calate nel 2017 le proteste nimby, acronimo inglese che sta per “Not in my backyard” (non nel mio giardino di casa): ossia quel movimento indistinto di persone che si oppone alle grandi opere, agli impianti industriali soprattutto in tematica ambientale o di viabilità.

Esiste l'apposito Osservatorio Nimby Forum[1] una think tank nata nel 2004 con il sostegno di enti locali, Ong ed imprese che cerca di descrivere la penetrabilità di questi movimenti. Secondo l'ultima edizione del rapporto elaborato ogni anno nel 2017 questo genere di proteste sarebbero appunto diminuite: sia perché sono aumentate le posizioni favorevoli agli impianti nell'opinione pubblica ma soprattutto perché sono allo stesso tempo calati gli investimenti degli imprenditori che fanno sempre più fatica a mettere soldi in settori dove si vivono contrasti così forti e dove la normativa non è neanche troppo chiara. «La fotografia  - si legge nelle conclusioni dello studio - che ci arrriva dalla XIII Edizione dell’osservatorio Nimby Forum presenta delle tendenze differenti rispetto alle precedenti edizioni. La più evidente è rappresentata non solo dal calo del numero totale degli impianti contestati, ma anche dalla diminuzione del numero di nuovi impianti rilevati come contestati per la prima volta. La chiave di lettura però non è tanto in una maggiore accettabilità sociale degli impianti quanto in una riduzione degli investimenti e dei nuovi progetti. Siamo al cortocircuito del fenomeno Nimby: nelle piazze scende chi vuole la TAV e al governo abbiamo la rappresentazione della crasi forzata tra due anime inconciliabili, quella del no a prescindere e quella dell’attivismo industrialista, in barba a concetti quali pianificazione, territorio, ambiente, eccetera. Siamo quindi lontani da qualunque forma di equilibrio e armoniosa conciliazione tra sviluppo e sostenibilità, tra modernizzazione infrastrutturale e partecipazione attiva della cittadinanza. Anzi, dopo tredici anni di Nimby Forum verrebbe da dire che si sta ripartendo da zero». In Italia gli impianti contestati in sono calati dai 359 del 2016 ai 317 del 2017 con un calo dell'11,7%. In forte diminuzione anche gli impianti contestati per la prima volta (-31,6%). Cali che secondo lo studio sarebbero come detto imputabili alla diminuzione di progetti e di investimenti e non tanto attribuibile ad un cambio di rotta nel sentimento popolare. Lo stesso rapporto però segnala come le persone con posizioni favorevole alle opere sia in aumento passando dal 19,9% del 2016 al 24,7% del 2017. Il settore più contestato (57,4%) è quello dell'energia, seguito da quello dei rifiuti (35,9%): dato che non sorprende perché spesso purtroppo le imprese che cercano di operare in modo costruttivo e sostenibile secondo i principi dell'economia circolare vengono scambiati con quelli che inquinano e creano il problema. C'è proprio un'inversione di responsabilità: le imprese che operano nel settore ambientale sono in realtà quelle che ripuliscono e recuperano. Tra gli impianti energetici quelli più contestati sono quelli relativi all'energia rinnovabile (73,3% includono biomasse, biometano da compostaggio, geotermia, eolico). Le proteste contro le centrali sono aumentate nel 2017 dell'1,2%, quelle per i rifiuti sono calate del 3,9% . La Lombardia detiene il record degli impianti contestati (38), seguita da Toscana (34), Lazio (29) ed Emilia Romagna, Puglia e Veneto a pari merito (27). «Abbiamo notizia di una diminuzione del numero di procedure nazionali di VIA, per cui vediamo un collegamento con la diminuzione delle contestazioni sui progetti verso cui tradizionalmente si esprime dissenso -  ha commentato Alessandro Beulcke, CEO Beulcke+Partners, l'agenzia che promuove l'Osservatorio Nimby Forum -  le imprese dinanzi a un quadro normativo incerto e a una politica spesso irresponsabile, che preferisce giocare con il consenso anziché governare il territorio, preferiscono investire altrove. Questo spiega l'ingente emorragia di capitali e la fuga di investimenti privati. È necessario ripartire dalla certezza del diritto, dall'ascolto attivo del territorio e da una politica più coraggiosa che non abbia paura di affrontare e gestire il malcontento, per investire davvero nella modernizzazione e lo sviluppo del Paese».

Andrea Grossi