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9 dicembre, 2018

Il sommerso vale 210 miliardi di euro, il 12,4% del Pil: l'ultimo rapporto dell'Istat

Italia e sommerso sono spesso considerati sinonimi per l'alta propensione del nostro paese ad incentivare un'economia illegale e possibilmente lontana dal fisco. Vuoi per l'alta tassazione vuoi per una sorta di propensione naturale all'evasione, le statistiche certificano un volume d'affari piuttosto consistente del cosiddetto sommerso. L'ultima fotografia arriva dall'Istat che come al solito non offre dati recentissimi ma che comunque rendono abbastanza l'idea della tendenza attuale. Il periodo analizzato va dal 2013 al 2016. Il valore aggiunto dell'economia sommersa vale ben 192 miliardi. «Nel 2016 – si legge nel rapporto Istat[1] dedicato al sommerso - il valore aggiunto generato dall’economia non osservata, ovvero dalla somma di economia sommersa e attività illegali, si è attestato a poco meno di 210 miliardi di euro (erano 207,4 nel 2015), con un’incidenza sul Pil pari al 12,4% (12,6% nel 2015). L’economia non osservata, con un aumento dell’1,2%, mostra una dinamica più lenta rispetto al complesso del sistema produttivo (+2,3%). Conseguentemente, pur in presenza di un incremento di circa 2,5 miliardi di euro, l’incidenza sul complesso dell’attività economica si riduce di 0,2 punti percentuali. Tale flessione si aggiunge a quella già registrata nel 2015, portando la riduzione complessiva a 0,7 punti percentuali rispetto al picco del 2014. Nel 2016, il valore aggiunto generato dall’economia non osservata incide per il 13,8% sull’ammontare complessivo prodotto dal sistema economico. La diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto al 2015 è interamente dovuta alla riduzione del peso della componente riferibile al sommerso economico (dal 12,8% al 12,6%) a fronte di una sostanziale stabilità dell’incidenza dell’economia illegale (1,2%)». Il rapporto si è ovviamente soffermato anche sul lavoro nero. «Il ricorso al lavoro non regolare da parte di imprese e famiglie è una caratteristica strutturale del mercato del lavoro italiano. Nel 2016 sono 3 milioni e 701 mila le unità di lavoro (ULA) in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 632 mila unità). Il tasso di irregolarità, utilizzato quale indicatore di diffusione del fenomeno e calcolato come incidenza percentuale delle unità di lavoro a tempo pieno (ULA) non regolari sul totale, è del 15,6%. La componente irregolare del lavoro ha segnato nel 2016 un calo (-0,6%) che segue gli aumenti del biennio precedente (rispettivamente +1,5 nel 2015 e +5,0% nel 2014)». Ma quali sono i settori tipici dell'economia sommersa? Troviamo innanzitutto i mercati clandestini di attività illecite come lo spaccio di stupefacenti o lo sfruttamento della prostituzione. Ma poi troviamo anche ambiti riferiti a settori del tutto regolari. «Nel 2016, le attività illegali considerate nel sistema dei conti nazionali hanno generato un valore aggiunto pari a 16,7 miliardi di euro, con un incremento di 0,8 miliardi rispetto all’anno precedente. I consumi finali di beni e servizi illegali sono risultati pari a 19,9 miliardi di euro (+0,9 miliardi rispetto al 2015), che corrispondono all’1,9% del valore complessivo della spesa per consumi finali L’incremento complessivo è determinato dal traffico di stupefacenti il cui valore aggiunto sale nel 2016 a 12,6 miliardi di euro (con un aumento di 0,8 miliardi rispetto al 2015) mentre la spesa per consumo relativa all’acquisto di droghe illegali è pari a 15,3 miliardi di euro (contro i 14,3 miliardi dell’anno precedente). L’incremento registrato su entrambi gli aggregati è quasi interamente riferibile ad un aumento dei prezzi degli stupefacenti a fronte di una sostanziale stabilità dei volumi. Per i servizi di prostituzione si stima un valore aggiunto pari a 3,7 miliardi di euro e consumi per 4,0 miliardi di euro, sostanzialmente invariati rispetto al 2015. Anche le attività di contrabbando di sigarette mantengono un livello analogo all’anno precedente, con un valore aggiunto pari a 0,4 miliardi di euro e un ammontare di consumi di 0,6 miliardi di euro. L’indotto connesso alle attività illegali, principalmente riferibile al settore dei trasporti e del magazzinaggio, si è mantenuto costante, generando un valore aggiunto pari a circa 1,3 miliardi di euro».

Andrea Grossi