Millennial poco propensi al rischio ed al successo imprenditoriale: serve il giusto mix
I giovani di oggi non sembrano avere un grande spirito imprenditoriale. Almeno i cosiddetti Millennial, ossia la generazione di ragazzi nati tra il il 1981 ed il 1996. Rispetto agli anni '70 i giovani di oggi riescono in modo minore ad aprire aziende. Uno studio del 2014 realizzato dalla Us Small Business Administration ha spiegato come meno del 4% dei trentenni dichiari di appartenere alla categoria dei lavoratori autonomi a tempo pieno, rispetto al 5,4% della precedente generazione, quella che giornalisticamente veniva chiamata la generazione X. La percentuale che si definiva imprenditore dei nati tra il 1944 ed il 1962 era ancora maggiore: il 6,7%. Dunque la tendenza a scendere sembra essere piuttosto marcata. Potrebbe sembrare un controsenso visto che la grande crisi economica iniziata nel 2008 ha fatto diminuire i cosiddetti posti fissi e dunque doveva accompagnarsi un parallelo aumento di iniziative imprenditoriali per cercare di costruirsi un'altra strada. Invece, tra i Millennial, pare esserci una minore propensione al rischio considerando il marcato calo del numero di startup gestite o fondate dai più giovani. I dati dell’US Census Bureau rivelano che il tasso di creazione delle startup è notevolmente calato ed è piuttosto lontano dai livelli precedenti alla crisi. «I Millennial – afferma Ana Bakshi, direttrice dell' Oxford Foundry project, programma dell’Università di Oxford finanziato dal fondatore di LinkedIn Reid Hoffman - soffrono davvero di mancanza di fiducia in loro stessi. Di conseguenza per loro non è facile lanciare e far crescere un’azienda. Dagli aspiranti imprenditori arriva soprattutto una richiesta: vogliono sapere come superare la paura del fallimento». Superata però la paura, una volta lanciatisi nell'avventura imprenditoriale, i giovani imprenditori sembrano più propensi a fondare magari più di un'impresa come testimonia lo studio di BNP Paribas del 2015: gli imprenditori nella fascia d'età tra i 20 ed i 35 anni in media avevano fondato un numero doppio di aziende rispetto ai colleghi con un'età superiore ai 50 anni. Purtroppo startup non è sinonimo di sopravvivenza. Il Sole24Ore[1] a questo proposito cita l'esempio del trentenne Rory Bate-Williams che aveva lanciato tre aziende. La prima era una società di noleggio di tende in stile medievale, nata addirittura quando lui era ancora adolescente: è tuttora in attività ma affidata ad un suo familiare. La seconda era stata la piattaforma di messaggistica Boink, già defunta. La terza si chiama Voodoo Chicken e si occupava di street food ed è ancora in una fase embrionale. Stesso discorso si può fare per Kraft, il suo primo successo Doppler Labs dopo quattro anni ha cessato l'attività mentre HereOne non è ancora decollata. Questi esempi trovano riscontro nei dati ufficiali che riflettono un'amara tendenza: la generazione dei più giovani avrà meno probabilità di trovare successo nelle sue iniziative imprenditoriali rispetto al passato. L'Us Census Bureau vede nei 45 anni l'età più proficua per lanciare una startup, mentre slanci sul mercato tra i 20 ed i 30 anni sono particolarmente rischiosi. Nel Regno Unito ogni anno il numero delle società che spariscono è del tutto equivalente a quelle che nascono. In molti sondaggi i Millennial sostengono di voler essere liberi e quindi scegliere la strada imprenditoriale senza “padroni”. Ma poi pochi hanno forse il coraggio pratico di buttarsi, nonostante rispetto al passato in varie zone del mondo esistano molti aiuti all'imprenditoria giovanile. «Sussiste ancora un divario enorme tra le ambizioni nutrite dalla generazione dei Millennial e quelle di chi si butta davvero per aprire un’azienda – afferma Robert Osborne del Centre for Entrepreneurs - sommato alla mancanza di esperienza a livello internazionale, ci sarà sempre un senso di disagio e di insicurezza».
Credo che un modello vincente sia rappresentato dal giusto mix. Le aziende devono necessariamente essere sempre giovani per avere quella velocità che serve rispetto ai modelli passati. Viviamo nell'epoca dei social ed in un mondo globalizzato, serve quindi la spregiudicatezza, la velocità, l'incoscienza e la mentalità dei giovani unite alla saggezza dei manager più esperti a cui vanno affiancati.
[1] http://www.ilsole24ore.com/art/management/2018-07-04/i-millennial-meno-voglia-impresa-e-piu-disposti-fallimento-150911.shtml?uuid=AEkTFzGF&refresh_ce=1